Ogni anno in #Puglia si scoprono 22 mila nuovi casi di tumori che si aggiungono agli oltre centomila che affliggono altrettanti pugliesi, al netto di chi la guerra l’ha persa, che da anni continuano a combattere contro cellule impazzite. Quando scopri di avere il cancro comincia un’odissea e ti si appalesa un mondo fatto di acronimi che ti complicano la vita anziché semplificartela. La ROP(rete oncologica pugliese) e il CORO (centro di orientamento oncologico) sono sulla carta, per una PET, TAC e SCINTIGRAFIA possono necessitare 8 mesi d’attesa, un NUMERO VERDE (80018503) a cui non risponde quasi mai nessuno e manca di una voce automatica registrata, ma la presa in carico dov’è?
La tempestività è una certezza per pochi, per gli altri non resta che mettere mani al portafogli andando fuori regione per avere una diagnosi e una cura in tempi brevi. La prova del nove è contenuta nel racconto della signora triggianese, di cui all’articolo, che stride con l’autoreferenzialità di un assessore alla Salute, anch’esso solo sulla carta, il quale va delirando che la nostra sanità andrebbe esportata. Emiliano è fuori dalla realtà, parla senza sapere.
Decine di migliaia di viaggi della speranza ogni anno con costi sociali diretti per 60 milioni di euro a carico dei cittadini e oltre 300 milioni a spese della collettività, un vero e costoso esodo. Mi chiedo, perché non accrescere il numero delle otto Pet per diagnosi più veloci, convenzionandole ove necessario? Perché non aumentare i tetti di spesa al privato pugliese, da scomputare dai conti della mobilità passiva, per interventi tempestivi e nelle more di una riforma complessiva del sistema sanitario pubblico (https://bit.ly/2G7myvc) oramai inderogabile? Che senso ha inviare i nostri pazienti presso strutture private al nord impedendo a quelle pugliesi di smaltire le liste d’attesa? Masochismo o cosa?