Vivilasanità – A colloquio con Mario Conca, Consigliere Regione Puglia
Riformare il Servizio sanitario nazionale e regionale per una sanità più equa e giusta
Il sistema sanitario è gravemente ammalato
Cliccando sul link in calce, da pagina 4 a pagine 7, potrete leggere la lunga intervista rilasciata al Direttore Responsabile Domenico De Russis e pubblicata sul trimestrale Vivilasanità
Mario Conca, Consigliere della Regione Puglia, imprenditore prestato alla politica, da quattro anni si occupa soprattutto di sanità e svolge l’attività con competenza e passione. Il suo telefono è sempre aperto e risponde alle continue richieste dei cittadini e grazie al ricorrente e costante feed-back con i pugliesi, ha raggiunto un livello di popolarità e soprattutto di competenza in sanità. Sogna un Servizio sanitario regionale più equo, più giusto, con l’abbattimento delle liste d’attesa. Lamenta le differenze nell’erogazione delle prestazioni tra Asl e addirittura tra poli ospedalieri. Si ritiene d’accordo sul frazionamento delle gare plurimilionarie, in linea con le norme comunitarie, che favoriscano la più ampia partecipazione delle piccole e medie imprese alle gare di appalto. “Intanto abbiamo smantellato la piccola impresa”, osserva il Consigliere pentastellato.
1) Consigliere Conca, in questi ultimi anni, Lei ha sempre stigmatizzato situazioni incresciose che hanno riguardato il rapporto dei cittadini con la sanità pubblica. Come giudica il Servizio Sanitario regionale?
Più che di Sistema sanitario regionale parlerei di sistema sanitario provinciale, con declinazioni, talvolta, distrettuali. Per quanto la Regione sia obbligata a erogare un livello unico di assistenza, ogni Asl, su molte questioni, si comporta autonomamente e differentemente perché manca il controllo e la guida da parte del dipartimento di salute. La percezione del sistema sanitario è appena sufficiente, anche se da molti cittadini è percepito come mediocre o insufficiente. Ci sono delle cose che funzionano, ma sono le eccezioni e non la regola.
2) Lei, da sempre, si è occupato di liste di attesa e dei relativi gravi ritardi che creano malessere tra i pugliesi. Cosa c’è da fare per risolvere questa annosa questione?
Il problema più sentito dalla cittadinanza è quello della lista d’attesa, è indubbio. L’ultimo caso riguarda una signora di Taranto che ha trovato le agende chiuse e non potrà prenotare la visita specialistica. E’ illegittimo chiudere le agende, cosi come previsto dalla legge 266/2005. Di fatto se per avere un intervento, devi aspettare due anni, tre anni oppure decidere di andare fuori regione in mobilità passiva, sopportando i costi sociali che questa trasferta comporta, è evidente che il sistema non funziona. Se invece per ottenere un intervento chirurgico, una visita specialistica o esami diagnostici in tempi ragionevoli tu sei costretto a pagarla, è evidente che questo è un problema immane, che da sempre mi porta ad essere favorevolissimo, previa riforma del sistema sanitario nazionale, all’abolizione della libera professione. L’Alpi ha creato disuguaglianze nonostante i cittadini paghino 4 volte per un sistema che non funziona. Lo pagano con il gettito fiscale che alimenta il fondo sanitario regionale, lo pagano con il ticket e il super ticket, lo pagano con la libera professione (out of pocket), lo pagano con i costi sociali diretti e indiretti. E’ evidente che il sistema sanitario è oggi gravemente ammalato, come se avesse la Leucemia. Quando hai la Leucemia non puoi pensare che con la tachipirina puoi debellare la febbre persistente, hai bisogno di un trapianto di midollo per sperare di contnuare a vivere. Ecco, i governnti a tutti i livelli si occupano di curare la sintomatologia e non le cause. Non si è compreso che se non si interverrà pesantemente sul Servizio sanitario nazionale e, indirettamente, su quello regionale, nel giro di cinque anni, i due sistemi non saranno più economicamente sostenibili e dovremo abbandonare l’attuale modello, cosiddetto Beveridge, già oggi sempre meno solidaristico e universalistico, e saremo costretti al modello Bismarck, alla tedesca, oppure, peggio ancora, al mercato libero all’americana completamente assicurativo. Se a questo si aggiunge che bisogna attendere 9 mesi per una colonscopia oppure 5/8 mesi per una Pet, esami necessari per scongiurare diagnosi oncologiche o stadiare tumori, il quadro è ancora più nero. Non si fanno gli screening previsti dai Lea al Colon Retto, alla Cervice Uterina e per quello mammografico le citicità sono tantissime. Insomma, se spediamo circa 340 milioni di euro in mobilità passiva, che è più di cio che ci costano tutte le cliniche convenzionate ad eccezione dei tre enti ecclesistici, è evidente che il mio giudizio è completamente negativo. Le cause sono diverse. Certamente le gravi responsabilità regionali dovute alla mancanza assoluta di controllo a tutti i livelli, l’inesistente controllo di gestione, la mancata programmazione con atti aziendali mai chiusi, ma soprattutto per responsabilità governative e ministeriali. A 41 anni dalla 833, di fatto si dovrebbero modificare tutte le leggi che si sono succedute a partire dalla legge 502/1992, alle legge 229/99, alla legge Balduzzi, al DM 70, al Contratto dei Medici, che devono portare ad una riforma più complessiva che salvi il paziente SSN.
3) Lei è d’accordo sulla chiusura dei piccoli ospedali per garantire nei poli ospedalieri migliore assistenza e più efficienti servizi al paziente? Cosa pensa dei nuovi ospedali in costruzione quali ad esempio quello di Monopoli-Fasano e San Cataldo di Taranto?
Chi non sarebbe d’accordo nel farsi una casa nuova, una villa con piscina. E’ chiaro che le cose belle piacciono a tutti, piacciono anche a me. Se fare un ospedale nuovo, però, vuol dire fare un contenitore vuoto e predisporre un appalto da 100 milioni di euro per far lavorare delle aziende per poi potersi fregiare del nuovo ospedale, è evidente che questo non basta. A due chilometri da casa mia esiste l’ospedale più nuovo di Puglia, l’ospedale della Murgia. Ci sono voluti diciannove anni per completarlo, neanche tanti se pensiamo ai 35 anni che ci sono voluti per il Sacro Cuore di Gallipoli, e ad aprile saranno cinque anni che è stato inaugurato in fretta e furia ma è ancora carente di quasi tutti i primari. Mancano reparti salvavita come la Stroke Unit e l’emodinamica, ma tante altre sono le cose sono abbandonate a se stesse o inutilizzate, quali il tunnel di lavaggio e la pista per l’elisoccorso. Mancano una sessantina di medici e un centinaio tra infermieri e OSS. E’ evidente che se facciamo nuovi ospedali, è come se comprassimo una Ferrari e poi non riuscissimo a trovare i soldi per metterci la benzina o pagare l’assicurazione.
Per quanto riguarda la chiusura dei piccoli ospedali sono d’accordo, ricordo che sono stati chiusi una quarantina di nosocomi negli ultimi dieci anni, ma prima di farlo c’è bisogno di aprire e portare a regime i PTA, che contengono gli stessi ospedali di comunità, strutturare il territorio sedotto e abbandonato.
Prima di chiudere altri ospedali, però, bisognerebbe riformare l’intero sistema, anche se in verità il piano di riordino ospedaliero del 2016 è rimasto pressoché sulla carta, altrimenti sarà una tragedia per gli ospedali che rimarranno. Come? Passando al ruolo unico del medico e ripristinando, così, giustizia sociale all’interno della categoria. Ruolo unico del medico vuol dire che il pediatra di famiglia, il medico di base, la guardia medica o il 118ottista non devono più essere convenzionati. Dovrebbero essere assunti tutti alla dirigenza medica e a tutti loro dovrà essere elargito lo stesso stipendio, 5 mila euro netti mensili. Oggi ad un massimalista della medicina di base che con la convenzione, gli accordi integrativi regionali, le prestazioni domiciliari, il care Puglia, etc…può percepire fino a 10mila euro al mese. Il medico ospedaliero, invece, percepisce somme che vanno da 2500 ai 3400 euro al mese, a seconda dell’anzianità di servizio, con maggiori responsabilità. Infatti l’ospedaliero è costretto a turni, reperibilità, pronte disponibilità, rischia il penale, rischia di essere malmenato, lavora anche a Natale e Capodanno, ma guadagna un terzo. È evidente che questa disparità, al netto delle croniche carenze, porta molti all’utilizzo distorto della libera professione, all’allungamento dei tempi di attesa, alla chiusura delle agende, perché chi per specializzarsi ha studiato più anni, non può e non vuole sentirsi di serie B e deve arrotondare. Una lotta di categoria neanche tanto celata che fa male alla salute e alle tasche degli assistiti, visto che ci sono medici che fatturano più di mezzo milione di euro all’anno di Intramoenia, a cui si aggiungono i 130 mila euro di struttura complessa.
Attualmente tutto è scaricato sull’ospedale perché non esiste altro, ma se si procedesse come indicavo poc’anzi, cosa accadrebbe al territorio?
Nei PTA andrebbero a turnare tutti i medici di famiglia, i pediatri, le guardie mediche, i medici del 118 che lo farebbero vivere h24 e 7 giorni su 7, un mini ospedale per i codici non urgenti. Per un paese come Gravina, ad esempio, che conta circa 50 medici, vorrebbe dire che per ogni turno nel vecchio ospedale di Via San Domenico ci sarebbe una compresenza di 8-9 medici, capaci di trattenere i codici bianchi e codici verdi, la bassa complessità, che oggi grava e intasa gli ospedali per acuti. Tenendo conto che l’80% degli accessi ai pronto soccorsi è rappresentato da codici bianchi e codici verdi, vorrebbe dire che le attese estenuanti di 8-10 ore presso un pronto soccorso per acuti, sono oggi rappresentati da accessi inappropriati. Se si procedesse in tal senso, i pronto soccorsi gestirebbero soltanto i codici gialli e i codici rossi, addio estenuanti attese al triage. Dopo aver adeguato tutta la rete dell’emergenza urgenza, con l’elisoccorso, con la rete STEN e STAM per il trasporto neonatale, con il trasporto bariatico, con il soccorso in mare, a quel punto noi potremmo ridurre ancora il numero degli ospedali per acuti. Ne concentreremmo le specialità in pochi ospedali, ma che ti salvano la vita.
Prima di arrivare all’abolizione dell’intramoenia ed extramoenia, che in verità si trasformerebbe in una professione aggiuntiva interamente pubblica, bisogna fare una serie di passaggi propedeutici che vanno dal ruolo unico del medico, come vi dicevo, alla ridefinizione dei criteri di riparto per una equa ripartizione del fondo sanitario, all’adozione del numero alla francese e specialistica agganciata al fabbisogno epidemiologico e alla quiescienza per sopperire alla carenza oramai strutturale, all’abolizione dei vincoli assunzionali introdotti da Tremonti per tutte le figure sanitarie fermo restando il pareggio di bilancio, all’adeguamento dello stipendio netto per i dirigenti medici, all’abolizione del superticket, al Cup Unico Digitale, al salvavita Fascicolo Sanitario Nazionale, etc… Dopodiché, chi più lavorerà più guadagnerà, percependo una quota del ticket, del drg e del nomenclatore tariffario per le ore di straordinario fino a poter guadagnare 10 mila euro o più al mese, al pari di un collega olandese. Stesse possibilità di arrotondamenti avranno infermieri, professioni sanitarie e medici del territorio. Chi vorrà continuare a guadagnare 700 mila euro l’anno nel pubblico, potrà licenziarsi e andare a lavorare nel privato, avere il piede in due scarpe farebbe comodo a noi tutti. Magicamente sparirebbero le liste d’attesa e le visite a pagamento rimarrebbero un lontano ricordo.
Utopia? No, è già successo in Puglia nel 2014, precisamente nella radiologia di Trani, dove con un progetto che portava i tecnici di radiologia e i medici a lavorare dalle 8 alle 20, in pochi mesi si azzerarono le liste d’attesa. Contenti i pazienti, i tecnici e i medici che per mesi guadagnarono il doppio, senza pesare sulle casse pubbliche perché pagati con una parte del ticket che non finiva nel privato convenzionato. Com’è finì questa best practice? Fu boicottata e dismessa per i conflitti di interesse apicali che non riuscivano più a lucrare a sufficienza nel privato. Quando il pubblico funziona e rispetta i tempi di attesa, la gente lo preferisce sempre. Lestofanti.
Se non si riformerà il sistema sanitario nazionale il soldato Ssn morirà e a quel punto dovremo farci l’assicurazione, che comunque non coprirà tutte le prestazioni e chi non potrà avere l’assicurazione finirà in un lazzaretto. Il bene si piange quando si perde, questo è il mio monito.
4) Si ritiene d’accordo con l’orientamento espresso da Anac e dai diversi tribunali amministrativi i quali ci stanno dicendo che bisogna consentire la più ampia partecipazione delle imprese alla procedure di gare, per l’acquisizione di bene e servizi affinché possano concorrere agli eventi competitivi, non venendo escluse per vincoli posti nei disciplinari gara, che tendono a favorire più le multinazionali che le piccole e medie imprese?
Io non solo sono d’accordo, ma opero in tal senso. Faccio un esempio su tutto: quello della gara sul lavanolo, che ho seguito nell’ultimo anno ed è esemplificativo di quanto contenuto nel decreto legislativo n.50/2016 e nelle direttive comunitarie, dove si dice che va preservata la piccola e media impresa, per garantire a tutti la possibilità di partecipare a gare pubbliche. In realtà che cosa è successo? Si è invece preferito il lotto unico da 187 milioni di euro per consolidare oligopoli, di fatto sfaldando la piccola e media impresa. Su questa gara ‘centralizzata’ il Tar ha dato ragione al ricorrente contro la regione, InnovaPuglia è ricorsa in Consiglio di Stato e si attende la sentenza, ma a prescindere da ciò, è evidente che quel lotto andavo frazionato in 7-8 lotti, come hanno fatto in Lazio, in Piemonte, etc.. Sulla gara del lavanolo, però, c’è anche un’altra stortura: se si opta per una gara centralizzata si dovrebbe garantire una qualità migliore ad un prezzo più conveniente per preservare le casse pubbliche. Neanche questo! Perchè il prezzo è stato raddoppiato e quasi triplicato in base d’asta! Nel caso del lavanolo è aumentato del 71% rispetto all’attuale spesa, malgrado la regionalizzazione della gara. Furbescamente, a mio giudizio, hanno preso a riferimento dalla griglia Anac, il prezzo non idoneo dell’area chirurgica estendendola a tutte le aree sanitarie che per i 2/3 non sono chirurgiche. Ciò è tanto vero che, il 6 dicembre 2018, l’Anac mi ha risposto dandomi ragione e aprendo una procedura contro InnovaPuglia, che nel frattempo avrà argomentato o giustificato. A prescindere da quello che farà Anac, io sono certo che quella gara andrebbe annullata in autotutela, la base d’asta andrebbe abbassata di almeno 21 milioni di euro e andrebbe predisposta ex novo tenendo conto che il privato paga a consumo e, per la biancheria piana, 1,80 a giornata di degenza anziché i 4.20 euro messi a base d’asta. Stessa cosa è accaduta a livello statale con Consip, dove si è semplicemente centralizzata la corruzione favorendo le multinazionali. Un esempio su tutti. La pubblica illuminazione delle città che passa per la francese Engie, che viene qui a vincere tramite Consip, Luce 3, prendendosi il denaro che avremmo dovuto far risparmiare ai cittadini con l’efficientamento energetico e togliendo il pane alle nostre imprese che, al massimo, devono accontentarsi del subappalto.
Il sistema è fatto per consolidare oligopoli, perché parlare con pochi stakeholder conviene alla politica clientelare di passo e alla burocrazia stanziale.
5) Ritiene che ci sia da riformare il codice degli appalti rendendolo più fluido perchè le attuali procedure di gare sono complesse e disincentivano gli stessi funzionari pubblici ad avviare nuove procedure e si ricade spesso nelle proroghe per beni e servizi obsoleti che possano danneggiare il paziente?
Questo lo denuncio da sempre. Dalla proroga per il rinnovo delle commissioni invalidi, alle proroghe nella ristorazione ad esempio. Nella Asl di Lecce ci sono proroghe che vanno avanti da 16 anni. In tutta la Puglia ci sono gare nella ristorazione in proroga da anni e lo sono anche per le gare della farmaceutica. Ci sono ausili protesici che noi paghiamo di più rispetto a quello che si potrebbe ottenere se si facesse la gara. Ci sono farmaci brevettati che sono diventati off label ma che continuiamo a pagare perchè manca la gara. Le case farmaceutiche non partecipano alla gara per i generici, perchè preferiscono andare a contrattare per continuare a guadagnare di più. Nell’anno 2017 è intervenuto il nuovo DPCM che ha allargato e aggiornato i LEA, ma ad oggi mancano ancora i decreti attuativi. Di fatto, le tariffe riguardanti i dispositivi protesici di cui al nomenclatore tariffario, sono addirittura quelli del 1999. Nella gara per le tracheotomie, abbiamo fatto una gara da 26 milioni di euro dove il prezzo delle CPAP è triplicato. L’unica cosa che è diminuita è il quantitativo di ausili, cannule, filtri, metalline e mount da erogare ai pazienti debilitati, che ha portato ad uno scadimento della loro qualità di vita, e un ricorrere più frequentemente alla terapie intensive. Quindi maggiori danni perchè un giorno di terapia intensiva può costare fino a 2500 euro al giorno. Non solo abbiamo speso di più, quindi, ma abbiamo smantellato la piccola e media impresa e condannato gli assistiti. Per questo noi siamo da anni in piano di rientro e, faticosamente, ne stiamo uscendo. Ma a quale costo? Chiudendo le agende, allungando le liste di attesa di due anni per una mammografia, non dando seguito agli screening previsti per legge come quello mammografico della cervice del colon? Addirittura mancano i computer nei distretti e si chiudono gli ambulatori della specialistica ambulatoriale. Io ho fatto abolire la tariffa extralberghiera applicata nelle cliniche private, dove facevano pagare, non in tutte per fortuna, 10 euro al giorno di tariffa extra direttamente ai ricoverati. Costo anacronistico che insisteva dal 1993 e che ho denunciato pubblicamente facendo risparmiare tantissimo, si stimano 10 milioni all’anno, alle tasche dei pugliesi.
In conclusione vorrei dire che la salute dei cittadini non coincide con un conto economico, peraltro un pessimo conto, ma viene prima di ogni avanzo di amministrazione. Sarebbe troppo lungo spiegare la schizofrenia amministrativa che anziché aiutarci a far quadrare i conti, ci condanna a piani di rientro o programmi operativi infiniti.
Qual’è la spinta ideale la sostiene nei momenti difficili della sua vita politica?
Per me la politica vuol dire servizio. Le mie giornate le passo ad alleviare le difficoltà di qualcuno e soprattutto nell’essere da sprone alla politica di governo, per aiutarla a sbagliare meno eliminando qualche stortura. Fino ad oggi ho fatto risparmiare una quarantina di milioni di euro alle casse pubbliche e, soprattutto, ho dato risposte a migliaia di persone. È solo grazie a questo che ho potuto addentrarmi nei meandri della burocrazia, la pratica vale molto più della teoria. Se mai avrò funzioni di governo saprò certamente dove mettere le mani, perché vivo in trincea tutti i giorni per cercare di lenire le sofferenze di taluni e battermi per i tanti diritti negati che il sistema spaccia come favori.